Capitolo 9 – Pluridisabilità – Alunni non vedenti e ipovedenti con disabilità aggiuntive: l’intervento socioriabilitativo nel contesto del progetto educativo personalizzato

Sommario:

d. Alunni non vedenti e ipovedenti con disabilità aggiuntive: l’intervento socioriabilitativo nel contesto del progetto educativo personalizzato.

Riteniamo opportuno precisare innanzitutto che nel caso di alunni non vedenti e ipovedenti con disabilità aggiuntive a carico delle funzioni simbolico-relazionali, l’entità dell’itervento socioriabilitativo si dimostra preponderante rispetto all’intervento propriamente scolastico.
E’ in questo senso che un numero significativo di scuole ha già cominciato ad organizzare nello spazio dell’istituzione scolastica contesti finalizzati a interventi riabilitativi, d’intesa con le aziende sanitarie locali e con gli altri soggetti istituzionali presenti nei gruppi di lavoro sull’handicap.
Naturalmente non si tratta di un intervento riabilitativo vincolato rigorosamente al recupero (più o meno consistente) di una singola funzione.
Infatti simili interventi rigorosamente funzionali esigono l’apparato organizzativo caratteristico di una struttura riabilitativa.
Nella scuola possono essere attuati interventi riabilitativi mirati a potenziare, più che altro, la qualità di alcune coordinazioni funzionali e conseguentemente l’armonia dello sviluppo personale, nel rispetto della storia dell’alunno, della sua identità e dei significati che orientano la sua esistenza.
In alcune situazioni scolastiche l’intesa con le istituzioni riabilitative presenta un grado di articolazione progettuale ancora superiore.
C’è infatti convergenza e corrispondenza tra l’intervento propriamente riabilitativo, svolto nella sede sociosanitaria, e un intervento scolastico transdisciplinare, finalizzato più che altro al recupero degli apprendimenti di base e della disposizione ad apprendere, concepita come atteggiamento caratteristico della relazione persona-ambiente.
Possiamo dire che in linea di principio questa forma di intesa e di collaborazione potrebbe avvenire anche nel caso in cui l’alunno venga sottoposto ad un trattamento psicoterapeutico, sempre che la qualità dell’intervento venga ritenuta socializzabile dallo psicoterapeuta.
Generalmente le difficoltà di collaborazione tra le istituzioni scolastiche e riabilitative insorgono da una insufficiente chiarezza di ruolo e di finalità, dalla quale consegue il timore di smarrire la propria identità istituzionale.
Di fronte al danno funzionale della persona disabile, la struttura riabilitativa ha il compito di promuovere apprendimento di funzioni capaci di ridurre la portata disabilitante. Da parte sua la scuola ha il compito di promuovere una risposta di apprendimento più globale, tale da riattivare nella persona il piacere della conoscenza e il desiderio di incamminarsi verso un miglioramento di qualità della vita.
Nel caso specifico di alunni non vedenti e ipovedenti, aggravati da limitazioni simboliche e relazionali, l’entità dell’intervento propriamente scolastico, benché essenziale, presenta tempi esigui e condizioni molto particolari.
In questi casi occorre pertanto estendere e potenziare le dimensioni dell’intervento socio-riabilitativo che ordinariamente presenta le caratteristiche seguenti.
Frequentemente la vita emozionale di questi alunni è così perturbata e instabile, da divenire un ostacolo pressoché insormontabile per qualsiasi iniziativa finalizzata a sollecitare apprendimento.
Infatti l’apprendimento esige quantomeno una condizione emozionale di relativa sicurezza e stabilità, sulla cui base il soggetto possa sostenere il cambiamento in qualche misura presente nell’esperienza di apprendimento.
Per facilitare il recupero di un relativo benessere emozionale, la persona ha bisogno di sentirsi contenuta e protetta, accolta e riconosciuta, confermata nel suo vissuto interiore e sostenuta dal conforto di una presenza amica, disposta a vivere con lei le difficoltà della situazione.
In una prima fase queste esperienze di contenimento dovranno essere frequenti e regolari, affinché il soggetto possa consolidare e stabilizzare una condizione di maggiore sicurezza, con la quale intraprendere il suo cammino di alunno.
Bisogna dire che in tal senso l’esperienza di acquaticità, condotta sapientemente nel rispetto di rigorosi criteri idroterapeutici, può produrre effetti molto benefici. Naturalmente però una simile indicazione non vuole affatto escludere qualsiasi altra forma o metodologia di contenimento.
In secondo luogo dobbiamo considerare che questi alunni hanno un grande bisogno di potenziare l’intensità e la varietà della loro vita percettiva, per migliorare la qualità del loro rapporto con l’ambiente, evitando così di restare segregati nell’ambito angusto di una vita endocettiva e fantasmatica.
Giova precisare a questo proposito che nel caso di alunni pluridisabili ipovedenti, si opera spesso esclusivamente nel senso di una riabilitazione visiva.
Francamente riteniamo che un simile intervento sia riduttivo e insufficiente, poiché non mira alla promozione di una risposta percettiva globale, in una prospettiva di valido potenziamento compensativo.
Senza voler minimizzare in alcun modo l’importanza e il significato della riabilitazione visiva, dobbiamo comunque ribadire che lo scopo dell’intervento riabilitativo non è l’apparenza della normalità ma una qualificazione della risposta di apprendimento che la persona assume di fronte al proprio limite funzionale.
D’altra parte questi soggetti presentano, nella maggior parte dei casi, gravi limitazioni della attività immaginativa. Pertanto la pienezza della loro vita sensoriale e percettiva costituisce purtroppo il principale ed esclusivo cardine per la loro crescita umana.
Conseguentemente e coerentemente, cerchiamo di valorizzarlo nella sua interezza per consentire il più possibile a questi bambini un’esistenza orientata dal sentimento della realtà.
In terzo luogo un valido intervento socio-riabilitativo concorre al potenziamento della dimensione motorio-espressiva dell’alunno pluridisabile, sollecitando la sua capacità di essere in contatto con l’esperienza vissuta e di rappresentare emozioni, sentimenti e intenzioni personali mediante i movimenti corporei, le espressioni vocali, i suoni e i rumori o qualsiasi altra forma di manifestazione espressiva.
Dobbiamo dire che anche gli alunni con i limiti funzionali particolarmente gravi, trovano nelle attività motorio-espressive un evidente sollievo, una maggiore vivacità ed un complessivo miglioramento della vita relazionale.
Naturalmente si tratta di individuare per ciascun alunno le modalità motorio-espressive congeniali e commisurate alla sua condizione somatopsichica. Occorre altresì condurre simili attività in un contesto ben calibrato da regole capaci di contenere e di moderare le inquietudini di ciascun alunno, evitando soprattutto i toni di eccessivo eccitamento che potrebbero introdurre risposte di agitazione spiacevoli e difficilmente governabili.
Anche le regole infatti rappresentano una preziosa forma di contenimento delle emozioni, poiché costituiscono gli argini entro i quali l’alunno può fluire con la sua naturalezza espressiva e con la sua vivacità.
In quarto luogo bisogna tener presente che questi alunni nutrono generalmente una scarsa fiducia nelle loro capacità di apprendimento e spesso dimostrano di possedere una mortificante abitudine a vivere l’insuccesso.
Per questa ragione l’intervento socioriabilitativo deve curare con particolare attenzione il recupero della fiducia nell’esperienza di apprendimento, mediante supporti didattici di facilitazione, di orientamento e di guida.
L’insegnamento scolastico appare vincolato per tradizione da una logica della prova secondo la quale l’alunno può riuscire a risolvere un problema, così come l’insegnante glielo presenta; oppure può fallire evidenziando la sua incapacità.
Soprattutto con questi alunni occorre modificare una simile logica e concepire prove più adattabili alle condizioni di apprendimento dell’alunno, che in buona sostanza ha il diritto di conoscere le proprie possibilità, ricevendo dalla scuola supporti e mediazioni adatte a sostenere il suo cammino graduale e progressivo.
In altre parole occorre evitare che l’alunno resti sommerso dall’impatto con le sue incapacità, poiché tale impatto non produce generalmente effetti responsabilizzanti, ma semplicemente il rifiuto dell’esperienza scolastica.
Dobbiamo cercare con l’alunno la via del suo successo scolastico, corrispondente alle sue effettive possibilità, in una prospettiva di lenta ma continua evoluzione.
Esperienze di apprendimento così concepite possono migliorare sensibilmente l’autostima dell’alunno e porre la basi per il rinnovamento della sua esperienza scolastica.
Queste indicazioni nel loro insieme costituiscono un intervento socio-riabilitativo molto consistente e significativo, capace di elevare la qualità della vita dell’alunno e non soltanto nel suo ambiente scolastico.
In ultima analisi dovremmo chiederci che fare nei casi molto frequenti in cui le istituzioni scolastiche e riabilitative dimostrano con chiarezza di non possedere questa capacità organizzativa e questa cultura dell’intervento interistituzionale.
In simili circostanze riteniamo necessaria la realizzazione di strutture socio-riabilitative specifiche, molto diffuse nel territorio e capaci non soltanto di corrispondere alle esigenze degli alunni inseriti nelle pubbliche scuole, ma anche di sollecitare le istituzioni scolastiche e riabilitative verso un mutamento di prospettiva, più favorevole ai processi di sviluppo e di apprendimento di questi alunni, così bisognosi di una società più civile e più attrezzata a soddisfare i loro bisogni educativi speciali.
D’altra parte i mutamenti culturali profondi non possono scaturire interamente da processi di rinnovamento fluidi e naturali.
Per produrre simili trasformazioni occorre costruire fasi intermedie artificiose, ma capaci di aggregare i nostri sforzi e costruire strumenti validi per ottenere gli effetti desiderati.
Coloro che ostacolano l’edificazione di queste fasi artificiose, senza indicare concretamente alternative convincenti, esibiscono una prudenza che forse nasce da uno stato di leggerezza, caratteristico di chi non vive la vicinanza dei problemi nella loro reale drammaticità.