Capitolo 7 – Conoscere la persona cieca – Compensare o sostituire?

Sommario:

b. Compensare o sostituire?

Gli educatori dei soggetti disabili visivi sanno bene che la famiglia di un bambino non vedente si concentra molto spesso sul recupero della funzione visiva, evitando e rifiutando strategie di adattamento che scaturiscano dal confronto con il limite e da un compiuto esame di realtà.
La soluzione viene immaginata o fantasticata nella riconquista del bene perduto o perlomeno di una sua parte considerevole.
Da parte loro gli educatori affermano l’importanza della compensazione che aiuterebbe il bambino a trovare una risposta alla disabilità mediante strategie scolastiche e riabilitative, finalizzate al recupero delle sue reali risorse personali.
Il concetto di potenziamento compensativo viene spesso così enfatizzato da risultare apparentemente come una piena soluzione del problema, quasi equivalente al recupero della funzione visiva.
Anche se in misura ridotta, l’atteggiamento enfatico degli educatori presenta caratteristiche illusorie e si dimostra predisposto alla tentazione di trasformare l’obiettivo metodologico in una vera e propria riparazione magica.
In simili circostanze l’atteggiamento dei genitori e l’atteggiamento degli operatori divengono, allo stesso tempo, complici e antagonisti, organizzando una relazione ambivalente, molto difficile da ristrutturare.
A questo proposito occorre capire che un processo di potenziamento compensativo non può né deve dissolvere il sentimento della perdita che accompagna fedelmente l’esistenza della persona che non vede.
Infatti la perdita della vista, escludendo le riparazioni chirurgiche o terapeutiche, non può essere dissolta da nessuna strategia educativa. Anche se può dispiacere, bisogna dire con franchezza che l’esperienza visiva, in alcuni suoi aspetti, è un patrimonio di vita insostituibile.
Occorre peraltro aggiungere qualcosa di ancor più doloroso: la mancanza della vista limita la persona nel rapporto con il suo ambiente, nel movimento, nella conoscenza, nell’indipendenza e nella difesa dal pericolo.
Si tratta di limiti non trascurabili che certamente intensificano la dipendenza sociale.
Sono proprio queste considerazioni che hanno mosso alcuni educatori dei soggetti disabili visivi a concepire una strategia incardinata su obiettivi di competenza e di sviluppo sociale.
Il soggetto non vedente ha bisogno di comprendere interamente il valore della vista, le sue preziose funzioni e quanto sia benefico che almeno gli altri ci vedano.
Infatti in una società civile e solidale la vista degli altri, con i suoi benefici effetti, offre indirettamente ai soggetti non vedenti la possibilità di una vita più sicura, più organizzata e un immenso miglioramento della vita quotidiana.
In questo senso bisogna dire che i ciechi più sfortunati sono certamente quelli che non sono stati educati a cogliere il piacere dell’esistenza e la bellezza del reale.
Costoro restano vincolati nel sentimento della perdita e sentono la vista degli altri come un furto operato nei loro confronti.
Un tale sentimento negativo tende a produrre atteggiamenti ostili di riappropriazione: “occorre governare la vista degli altri per vivere la sensazione di possederla”.
Naturalmente si tratta di un atteggiamento fastidioso che con il tempo assume una fisionomia quasi persecutoria.
Di fronte a questo atteggiamento, la persona vedente avverte dapprima il disagio di essere vedente, ma successivamente fugge dalla situazione che gli appare sempre meno sopportabile.
In ultima analisi chi paga realmente le conseguenze di questo atteggiamento inadeguato è proprio la persona non vedente diseducata, che così facendo aggrava la propria condizione di isolamento e di angustia.
Non sono pochi i soggetti non vedenti che tentano di eludere il problema della dipendenza sociale cercando nelle risorse della moderna tecnologia la via dell’indipendenza.
Riconoscendo che tali risorse indubbiamente mitigano il grado della dipendenza, ritengo che la vista degli altri resti un bene irrinunciabile e che valga la pena di apprendere la buona grazia sociale per riuscire a conquistarne gli innumerevoli riflessi positivi.
La mia esperienza di educatore, di consulente e di non vedente mi indica una coniugazione tra potenziamento compensativo e interdipendenza sociale, a meno che il soggetto disabile visivo voglia vivere da solo in qualche parte del mondo, magari in una piccola isola dell’ Oceano Pacifico.
A parte i Robinson Crusoe e l’umorismo, bisogna dire che generalmente chi scopre il valore e l’efficacia dei cosiddetti sensi vicarianti, scopre anche il valore di ciò che gli manca.
Pertanto possiamo dire, in definitiva, che il processo di potenziamento compensativo è un cammino virtuoso nel quale si coniugano capacità, coscienza e confronto con il limite.
Si tratta di una cammino lungo e difficile che oltrepassa i monotoni confini della routine, offrendo alla vita i sapori dell’avventura, della costruzione, della conoscenza e della libertà.