Mi trovavo seduto in una sala da tè piuttosto affollata di voci che, per quanto discrete, componevano un fitto brusio penetrante e fastidioso.
Accanto a me sedeva una giovane giornalista socievole e nervosa, che parlava rapidamente agitando le braccia e producendo un tintinnio di bracciali ritmico e implacabile.
Il tavolo era pieno delle sue carte e dei suoi libri, tanto che la mia tazza di tè sporgeva dal bordo, provocando nella mia mente l’immagine inquietante della caduta.
Mi affrettai a berne l’acquoso contenuto, per allontanarla da me e liberarmi così dal pericolo di essere il colpevole, la causa della sua rottura.
Le argomentazioni della giornalista apparivano integrate da una logica stringente, così stringente da sollecitare il pensiero della fuga.
Mi sentivo nel posto sbagliato, stavo perdendo del tempo prezioso e non sapevo come affrettare il corso di quella spiacevole circostanza.
Ad un tratto qualcuno sfiorò con tenerezza il mio braccio destro e una voce soffice e intensa risuonò dolcemente nel mio orecchio, così vicina da offrire l’emozione del contatto: “ti prego, prendi la mia rosa e dammi quello che vuoi!”
Era la voce di una bambina, piccola e già capace di governare l’efficacia della seduzione.
La pronuncia slava e una vibrazione profonda conferivano alle sue parole una fisionomia magica e fatale.
Recuperai il borsellino nella tasca della giacca e le diedi dei soldi, con vergogna e gratitudine.
Mi vergognavo di essere così emozionato, mi sentivo molto ingenuo e permeabile. La mia gratitudine era comunque la nota prevalente del mio stato d’animo, poiché quella voce, quella bambina avevano risvegliato in me il sentimento del piacere e la forza del desiderio.
Mentre giocavo con la rosa tra stupore e nostalgia, sfiorando con i petali le mie labbra ancora un po’ incantate, notai con sorpresa che la giornalista era scomparsa.
Fu allora che mi svegliai e il mattino mi appariva denso di buoni presagi.