“Identità professionale dell’insegnante e l’articolazione delle funzioni docenti nell’ambito dell’autonomia”
LEZIONE I : I tre modelli di fare lezione
Vorrei presentare, visto che lo ritengo dal mio punto di vista particolarmente interessante, tre modelli di fare lezione che si sono susseguiti in Italia attraverso fasi culturali diverse e che purtroppo, sempre dal mio punto di vista, invece di andarsi ad integrare tra loro ed andare a comporre un modo di fare lezione sempre più complesso e integrato, si sono disturbati invece tra loro entrando in parziale e qualche volta anche in totale contrapposizione.
Il primo di questi modi, il primo dal punto di vista cronologico, è quello che potremo legare indissolubilmente alla pedagogia idealistica: Non è che vi parlerò della pedagogia idealistica in quanto me ne guardo bene perché ci porterebbe lontano. Non che sia interessante ma perché ci porta lontano dalle classi, dalla realtà della scuola. Però ve lo dico perché quando il Ministro della Pubblica Istruzione degli anni 20, il Professor Gentile, quello della riforma per capirci, concepì l’istituzione del Liceo Classico in modo consociato all’estetica pedagogica, pensava alla lezione proprio nel modo in cui vi dirò adesso. E non è che ciò riguardi soltanto l’università o il Liceo Classico, perché quello stesso modo veniva, aggiungo paradossalmente, a volte esercitato anche di scuola inferiori.
C’era un momento del fare lezione che coincide anche con quello che sta accadendo oggi tra noi, in cui c’era il professore che tendeva comunque a presentarsi e a presentare nello stesso tempo aspetti della cultura. In un modo però in cui il presentarsi ed il presentare erano congiunti, vale a dire non c’erano in classe gli alunni, il professore, la cultura. Ma nel momento in cui il professore parlava, diventava di fronte agli alunni l’interprete e incarnava questa attività tanto da rappresentarla esteticamente, drammaticamente, come rappresentazione vivente della cultura. Era proprio quel tipo di fare lezione per cui se uno riesce non vola una mosca, o se vola non si sente. Perché il livello di coinvolgimento dell’insegnante all’interno del contenuto che sta presentando è totale e questo diventa o seduttivo nel caso migliore dell’evento oppure intimidisce chi ascolta perché chi ascolta comunque sente che sta facendo qualcosa che non è il caso di disturbare perché diviene esecrabile disturbarla. C’è qualche aspetto di sacerdotale nella presentazione di quel contenuto, quasi che fosse in qualche misura sacro. E allora, mettendola così, la lezione diventa una vera e propria forma di rito. È un rito collettivo laddove l’insegnante ha bisogno di due qualità fondamentali. Nel breviario di estetica di Giovanni Gentile queste due sono rappresentate in modo perfetto, vale a dire da un lato il bisogno di conoscere la disciplina che si insegna. Quando a Gentile si chiedeva di che cosa c’è bisogno per insegnare bene la matematica, Gentile rispondeva : “E’ fondamentale conoscere bene la matematica, chi non conosce bene la matematica non può insegnare bene”. E per conoscenza la sua era quella biblica, intendeva anche amarla. Per lui non c’era conoscenza senza amore per la disciplina, quando diceva conoscenza ci metteva questa nota sentimentale. Quindi è un bravo insegnante nel senso di fare lezione chi sa la matematica e quindi la insegna bene. La seconda dote sempre per la pedagogia idealistica in qualche modo era conseguente alla prima. Cioè chi una materia la conosce bene, sa bene anche rappresentarla. Opinione discutibile ma comunque affermata da questo tipo di cultura, per cui un insegnante che conosca bene una materia finisce poi per trovare anche bene le forme per rappresentarla agli alunni.
Badate bene che ciò implica un sacco di aspetti che forse voi in questo momento non state pensando. Ad esempio che l’insegnante non deve in nessun modo facilitare l’apprendimento degli alunni perché la cultura non può essere sacrificata a quelle che sono le esigenze di apprendimento dell’alunno. Guai a semplificare la cultura, per darla magari poi in pasto all’alunno che non è in grado di apprezzarla per come essa si è organizzata.
Vi faccio un esempio pratico di quello che vi sto dicendo. Quando la Sovrintendenza della Galleria d’Arte Moderna seppe che alcuni di noi volevano organizzare un uso dei quadri di Picasso per far comprendere meglio il concetto di spazio ad alcuni ragazzi disabili, storse il naso perché le sembrò di cattivo gusto in quanto era un modo, diciamo così, per abusare in senso di violenza di Picasso e della sua arte con la a maiuscola. Come dire usiamo l’oro per fare i rivestimenti di un tavolo di lavoro.
Ecco, in questo modo, il Professore che è innamorato di Tristano ed Isotta, che si mette a recitare i versi di Tristano ed Isotta al punto di piangere dalla commozione e magari si trova davanti ragazzi un po’ rozzi, anche leggermente in difficoltà di apprendimento, e che con voce tutt’altro che intonata al momento sacro che lui ha cercato di organizzare gli chiedono: “Ma che vuol dire quello lì?” e lui va su tutte le furie e lancia il libro in direzione degli alunni.
Adesso sto raggiungendo l’estremizzazione del concetto, ma per farvelo capire nel suo significato più intimo. Quel professore è un professore che ha della lezione una visione di questo tipo, vale a dire la cultura non si deve abbassare all’alunno, per cui la Divina Commedia è Divina Commedia, e non può diventare semplicemente Commedia perché ci sono degli alunni cui piace tanto il pezzo in cui si parla di prostitute perché quello attira di più come discorso di coinvolgimento interno.
Non accetterebbe mai un discorso del genere il professore che ha una visione di rispetto dell’arte, della religione, delle scienze, della filosofia , sempre tutte con la lettera maiuscola davanti. Perché appunto sono gli alunni che devono saltare verso la cultura e chi ci arriva vuole dire che è predisposto, chi non ci arriva dovrà partecipare alla vita sociale in altra forme. Per cui poi c’era un’organizzazione anche ben prevista, perché poi c’erano le scuole di arte e mestiere, dove l’arte non era quella di Picasso, ma era l’arte del falegname, degli idraulici e i misteri erano veramente mestieri, per cui si distingueva i mestieri dalle professioni e così via. Questo era il primo modello.
Qualcuno qui potrebbe dire “ma la scuola elementare in questo che c’entra?”. Invece c’entra anche la Scuola Elementare, perché se io mi metto a parlare della Spedizione dei Mille dovendo far risorgere il Risorgimento in classe, faccio una lezione di tipo gentili ano. Vale a dire organizzo la rappresentazione della Spedizione dei Mille incarnando Garibaldi e creando pathos intorno a Garibaldi e a tutta la sua impresa. Chiaro che così facendo io creo una situazione di grande trasporto dove i processi di identificazione si maturano avvolti in modo anche eccessivo, tanto per farvi capire.
Il professore tanto amato che ha fatto quel film !L’attimo fuggente”, che ha trascinato moltissimi insegnanti italiani e non solo insegnanti, aveva una visione perfettamente genti liana della lezione. D’altro non so, ma della lezione sicuramente, perché vedeva la lezione come trascinamento, vedeva la lezione come il coinvolgimento verso di sé ma implicitamente verso la cultura. Chiaramente è questo modo di fare lezione altamente selettivo. Ma non è che è una selettività non voluta, il professore che fa questo tipo di lezione ne è consapevole perché vi risponderà che la funzione è quella di selezionare le persone che hanno delle capacitò superiori alle altre, non per disprezzar le altre, ma per individuare quelle, perché quelle serviranno a scopi diversi. Vale a dire l’individuazione delle menti, l’individuazione delle persone che potranno essere domani non dico semplicemente classe dirigente ma classe di riferimento.
È un concetto molto più complesso ma anche molto più ampio.
Badate bene la lezione gentiliana non è stata un prodotto del fascismo, cerchiamo di essere chiari, perché altrimenti facciamo la storia a nostro uso e consumo. Ci sono stati e ci sono tuttora centinaia di professori che appartengono a culture completamente diverse dal fascismo, tanto per dire un massimo estimatore della lezione gentiliana è stato Pietro Ingrao, e chi lo conosce tra voi sa benissimo che era un po’ lontano dalla posizione del fascismo. Però nonostante, su questo punto non solo era d’accordo, ma aveva una grandissima stima di questa visione estetica dell’insegnamento. Questo è un discorso che va ben al di là della visione politica quando c’è un discorso didattico.
Del secondo modello il più grande rappresentante è stato Don Milani in cui il dialogo assume un significato essenziale nell’ambito della lezione e la lezione è incontro di esperienze dell’insegnante e dell’alunno rispetto al contenuto della disciplina. Non si deve guardare fuori dalla propria vita per imparare ma dentro la propria vita. Vi ricordo che il sentimento della limitazione crea una scissione tra quello che siamo e quello che potremmo essere. La vita perciò non è semplice perché è una lotta tra l’essere così ed il poter essere così. Leopardi, Nietzsche dicevano “Beati quelli che possono essere tristi perché se non lo sono è perché sono dentro il proprio limite”. Don Milani è ricordato anche perché aveva questa capacità in cui il dialogo assume un significato essenziale, come diceva Pietro Primi. La lezione viene vista come incontro di esperienze in cui l’insegnante indossa la propria disciplina e invita l’alunno a fare altrettanto.
Il terzo modello è rappresentato dal Meazzini e dalla Pontecorvo. La struttura della lezione è costruzione dell’apprendimento attraverso un percorso di apprendimento programmato (secondo la Scala di Bruner) per cui si va avanti con un automatizzazione di un processo che diventa particolarmente utile nell’apprendimento delle abilità, delle conoscenze utilizzabili immediatamente. Non c’è più il contesto della lezione, ma si impara facendo. C’è l’uso del computer che mi aiuta a mano a mano che vado avanti nell’apprendimento.
Il guaio è che invece di collegare i tre modelli, di solito si dividono mentre il fare lezione è l’integrazione dei tre.